SUSANNA, 59
SUSANNA
Ho girato tra le mani molte stoffe in questi giorni, cercando un'idea, un'illuminazione, qualcosa che mi rappresentasse. Sono figlia di una sarta, la mia casa è piena di stoffe di ogni tipo e colore. Mia madre, per una vita intera ha tentato di insegnarmi a cucire e manipolare la stoffa, ma invano. Non ho la stoffa per la stoffa, ma la stoffa coniuga e unisce la mia storia con quella di mia madre. Mia madre, tra parentesi ha quasi 95 anni, è vivente e telefona come quella di Federica, sempre nei momenti sbagliati, per cui se sentite suonare è lei. E ho provato a tastare, ad annusare e a manipolare i tessuti, ma non si è accesa nessuna lampadina. Poi ho capito che la mia stoffa è un'altra, è sempre stata un'altra, con un solo modo per affrontare il dolore e la parola. Parlare e raccontare è sempre stata la mia stoffa, la mia cifra, qualsiasi sia stato il mio dolore, l'ho superato. Ho imparato a conviverci utilizzando il racconto. Con la parola, è come se il mio dolore si attenuasse, si diradasse, venisse portato come fuori da me e diventasse qualcosa che io posso guardare all'esterno. Utilizzo il racconto, spesso è
ironico, con le persone, con gli amici. Letteralmente direi che butto fuori, appunto, come
dicevo, utilizzando l'ironia e l'auto-ironia per alleggerire. Chi mi conosce, mi chiede perché
non faccio cabaret o teatro? Non mi interessa. Il teatro per me è sempre stato la vita. Io
non è esposto sugli altri o ho la presunzione di spostare sugli altri il dolore. Si tratta di
condividere, di essere disponibili anche al contrario, ad accogliere il dolore degli altri e il
proprio perché, condividendo dal mio punto di vista, è più semplice portare avanti. Io so
fare questo. Questa è la mia stoffa. Questo dolore non è diverso, fa parte, è uno degli
scacchi che la vita mi ha riservato. L'ennesimo per me. Comincia cinque anni fa questa
storia durante una vacanza e poi non mi lascia più. E' ancora qui, con giorni buoni e giorni
meno buoni. Questi qui non sono giorni buoni, ma non sono ottimista. Forse domani andrà
meglio. È una vita, una vita intera che sviluppo malattie nella zona genitale.
Evidentemente qualcosa vorrà pur dire. Da giovane erano i primi, poi infezioni continue, e poi l'infertilità di coppia e la fecondazione assistita. E poi questo infiammazione del nervo pudendo e vulvodinia. Se fosse un libro, mi chiamerei "Va Gina, và". Quindi questo è l'ennesimo dolore nella zona genitale. Zona molto intima ma contemporaneamente molto carica anche di un significato che è generativo. È un dolore, questo, che condiziona purtroppo la quotidianità. Talvolta impedisce anche una semplice passeggiata. Occuparsi della propria casa. È un dolore che ha messo la porta alla sessualità di coppia. La cosa che mi pesa di più è non sapere come andrà domani e se posso programmare una gita, un viaggio, una uscita con amici. Mi pesa viaggiare sempre con i farmaci, con gli analgesici e con le creme. Però pazienza che ci posso fare. Sono convinta che più che l'auto commiserazione funzioni la tenerezza e l'accettazione verso se stessi. Quindi, tornando alla stoffa, ho scelto questa stoffa bianca e liscia, è la mia stoffa del dolore e basta.
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